Programma, punto per punto : La fusione dei Comuni
Desidero sviluppare l’argomento introdotto con la mia
precedente lettera esposizione in data 15 marzo 2011 “Impegno prossimoventuro”, in cui dichiaravo di volermi candidare alla carica di Sindaco per
le prossime elezioni Comunali di Quittengo, illustrando i punti guida di quello
che sarà il mio proposito o programma per il mandato quinquennale, nel caso
dovessi essere eletto.
La priorità assoluta alla quale ogni nostro sforzo dovrà
tendere, è la fusione del nostro Comune con un altro o con una serie di altri.
Ciò, sarà naturalmente all’ipotesi (non più remota ormai) che i Comuni siamo
accorpati d’ufficio, con un bel Decreto del Governo, vanificando incentivi
economici oggi ancora disponibili e annullando la non trascurabile idea d’avere
una partecipazione popolare alla base del progetto.
Ma cos’è la fusione di Comuni?
La fusione dei Comuni, rappresenta un efficace strumento di
razionalizzazione del territorio, dei servizi e delle funzioni svolte dai
Comuni, da cui trarre un incremento dell'offerta sia qualitativa che
quantitativa dei servizi di cui i cittadini possono beneficiare, a fronte di un
risparmio dei costi burocratici legati al funzionamento degli Enti stessi.
A tal proposito, diffidiamo di chi, parlando di “servizi in
comune”, intende salvaguardare il proprio prestigio personale a spese della
comunità. Costui, ha ben compreso infatti i vantaggi della “fusione”, ma
egoisticamente intende mantenere lo status quo degli incarichi amministrativi
suddivisi.
Perché serve la fusione dei Comuni?
Per offrire al cittadino l’opportunità di dare un salutare
scossone alle strutture “antiche” di questa repubblica, che ormai non hanno più
la possibilità di migliorarsi, ma, tutt’al più, possono mantenersi come sono,
con sacrificio dei cittadini.
Candidandomi, mi pongo quindi il compito non facile di
informare i cittadini, per renderli soprattutto consapevoli dell’opportunità
che gli si offre con questo processo di riordino territoriale.
Solo con la consapevolezza di potere partecipare a decisioni
importanti, potremo sperare di tornare a pensare al miglioramento della qualità
della vita nelle frazioni.
L’idea futura della partecipazione della cittadinanza in un
grosso Comune, stride con la realtà attuale (dei piccoli Comuni) in cui
coesistono un gran numero di poteri locali che hanno un dialogo reciproco
troppo influenzato da rivalità di campanile quando non addirittura da rapporti
interpersonali tediati da situazioni private tra amministratori.
Questo rende evidente come, per funzionare correttamente, i
meccanismi dei poteri e dei servizi locali, devono disporre di un numero
sufficiente di cittadini. Ciò è chiaramente impedito all’origine nei piccoli
comuni come il nostro.
Noi infatti, non abbiamo oggi, la possibilità di scegliere
liberamente sulla base di un’offerta, perché non abbiamo semplicemente diverse
opzioni di offerta.
Nel caso servisse, come nel nostro caso, promuovere
un’alternativa all’attuale amministrazione, il numero esiguo degli abitanti di
Quittengo, così come di troppi altri Comuni, impedisce o rende difficile un
processo di gestione democratica dei poteri e dei servizi locali alternativo a
quelli in carica. Si crea insomma un circuito vizioso, in cui scadenti
amministrazioni restano in carica anni e anni per mancanza di possibili
ricambi.
Comuni più grossi, forti e finanziariamente autonomi invece,
offrono queste possibilità, e sono sicuramente in grado di sostenere e
coordinare meglio progetti di rilancio del territorio e di migliorare o
aumentare i servizi esistenti per la propria cittadinanza.
Se pensiamo con senso del dovere alle recenti misure
legislative che impongono ai Comuni nuove aggravate competenze ed oneri
finanziari che presuppongono l’esistenza di comunità locali organizzate almeno
dal profilo amministrativo e discretamente capaci dal lato finanziario, non
possiamo restare inermi tirando a campare.
Noi abbiamo in primis, il dovere di guardare al nostro
territorio, ma siamo anche responsabili che, gli aiuti (finanziamenti) dello
Stato e delle Province non siano sperperati o male utilizzati, perché
disperdendone le forze, vengano dequalificati o resi inutili come succede oggi,
dove ingenti somme di denaro pubblico (cioè nostro) finisce per l’essere
suddiviso in mille piccoli rivoli di nessuna utilità e ricaduta pratica reale.
Urge quindi lavorare per ridare ai Comuni una dimensione
tale che valorizzi la sua autonomia, riavvicinando il cittadino alle
istituzioni.
Questo è un obiettivo ambizioso, ben più ambizioso di quello
proposto da anni in Valle Cervo e mai realizzato per la miopia delle
Amministrazioni locali, vittime del campanilismo.
I tempi cambiano, sono cambiati e cambiano ancora, così
velocemente, che quel progetto appare ormai superato dagli eventi. Un
Comune di 700 abitanti infatti, avrebbe pressappoco, le stesse capacità
propositive e finanziarie di un Comune di 250 abitanti come il nostro d’oggi.
Questo era un progetto valido vent’anni fa, ma noi oggi, non siamo chiamati a
ratificare un progetto passato, ma a proporre una soluzione valida per i prossimi
vent’anni. Occorrerà quindi cercare di utilizzare (per quanto ci lasceranno
ancora fare a livello centrale) la legge sulle “fusioni”, per giungere ad
unirci con vantaggio reciproco con un Comune con un grado di autonomia
superiore al nostro e maggiormente performante tra quelli che confinano con il
Comune nostro.
Nulla quindi sarà lasciato intentato per giungere a questo
risultato, restando personalmente favorevole a qualsiasi soluzione “guardi a
valle”.
Qualcuno, si chiederà,
…ma invece di decentralizzare lo Stato vogliamo promuovere l’abolizione degli
Enti locali?
Assolutamente sbagliato, è vero proprio il contrario! Uno
Stato moderno ha bisogno di Comuni solidi sia sotto il profilo finanziario, che
sotto il politico e gestionale. Solo così i Comuni potranno avere voce in
capitolo nella vita politica e amministrativa del Paese.
Il vero processo
involutivo è stato compiuto agli inizi degli anni ’70, quando con
l’introduzione dell’ordinamento territoriale in Regioni, venne soppresso il
Regio Decreto che sanciva il «Testo unico per la finanza locale». Praticamente,
si sciolse l’ordinamento territoriale ed amministrativo Sabaudo, basato sulla
centralità del controllo (il Governo del Paese) e il decentramento
amministrativo (gestione pratica di Province e Comuni). Sono passati 40 anni, e
“gli errori vengono al pettine”, per restare al passo con i tempi occorre
tornare al più presto al punto di partenza.
Oggi tutto è mutato: le basi economiche territoriali, i
rapporti con la gente, l’immagine stessa dello Stato. Deve quindi cambiare
anche il Comune!
Una società che non accetta il mutamento è una società senza
futuro, così come, un’amministrazione che non riesca a valutare obiettivamente
il beneficio dovuto ad un cambiamento, è un danno per la società e il
territorio che crede di gestire. E noi in questi ultimi vent’anni, siamo
testimoni evidenti di questo degrado.
Ma, qualcun altro si
chiederà ancora, …le nostre tradizioni e la nostra storia locale, cadranno nell'oblio?
Assolutamente no, perché anche gestire le eredità del
passato è più facile quando l’Ente preposto, ha la forza culturale ed economica
per farlo. Gestire l’eredità del passato infatti, non significa conservarla
tale e quale era un tempo. Significa invece salvaguardarne lo spirito,
valorizzandone gli aspetti positivi per adeguarla ai tempi che viviamo.
La storia risulta utile quando ci serve da esempio pratico
per attuare un progetto per un futuro migliore. Se la storia e le esperienze
passate diventano uno strumento per storicizzare il presente, non servono a
nulla, anzi diventano di ostacolo al futuro!
Anche in questo caso quindi, un maggior numero di cittadini,
idee e risorse, risulterà vantaggioso a preservare le importanti testimonianze
storiche e le peculiarità della tradizione locale del nostro territorio.
Chiudo questo primo capitolo sperando che le argomentazioni
che ho esposto siano valide per avviare un dialogo costruttivo tra noi, ma
soprattutto, abbiano fugato alcuni dubbi, o abbiano stimolato anche, nuovi e
più interessanti interrogativi.
Alla prossima esposizione…
Alberto Conterio
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