lunedì 23 novembre 2009

La lotta ad oltranza e l'epilogo

Lo Sciopero degli scalpellini del 1912-13
La lotta ad oltranza e l’epilogo

Conseguentemente al totale blocco produttivo, per non perdere tutte le commesse aperte, gli imprenditori locali, tentarono la via di assunzioni di mano d’opera esterna, con incentivi in denaro.
Fu così che giunsero in valle Cervo scalpellini dal Lago d’Orta, dal Lago Maggiore, dalla Toscana e dal Varesotto. Comunque, prima ancora di poter impugnare gli attrezzi di lavora, molti di essi vennero “consigliati” di non intraprendere azioni che sarebbero state ritenute antisindacali, e tornarono velocemente ai paesi d’origine. Altri invece, che il Sig. Valz Blin definisce “Crumiri”, ma che occorrerebbe più dignitosamente identificare in liberi lavoratori (alcuni erano profughi che giungevano addirittura dalla Turchia) riuscirono a lavorare e a portare a termine alcune delle commesse su indicate, solo perché scortati e protetti giorno e notte da militari e Carabinieri inviati dal sottoprefetto Conte Carandini.

Dopo lungo tira e molla, dove la poco fruttuosa intransigenza della Confederazione Industriali di Torino, si opponeva alla fermissima volontà sindacale di non rinunciare a nulla, si giunse soltanto ad una parziale riformulazione dell’articolo 2. Per il concordato di Balma si verbalizzo : “Per le lavorazioni di Balma e Oropa gli industriali si impegnano di servirsi di mano d’opera organizzata nella Federazione Nazionale Edilizia”, mentre per Rosazza e Biella si sottoscrisse il seguente testo : “Per tutte le altre località del Biellese gli industriali scalpellini si impegnano di servirsi normalmente di mano d’opera organizzata nella Federazione Nazionale Edilizia”

Una targa pubblicitaria del Sindacato Subalpino (in Balma) del periodo

Gentile concessione del Sig. Massimo Brunello

Non vi furono - incredibile a dirsi - problemi invece per quanto riguardava i trattamenti salariali. Del resto le tariffe pagate agli scalpellini Biellesi, erano già tra le più alte d’Italia, confermando la matrice puramente politica ed ideologica della vertenza.
Ad esempio per le cave di Oropa, non si richiesero neppure aumenti; per Balma si riconobbe un aumento del 5% in tre anni, a Rosazza del 6% in due anni. Biella ebbe un aumento del 5% in soluzione unica alla firma del contratto.
Allora come oggi infatti, le organizzazioni sindacali avevano a cuore non tanto il benessere dei lavoratori o lo sviluppo sociale del territorio, quanto la protezione dei privilegi e del prestigio dell’organizzazione e dei soli associati e/o iscritti.
Comunque sia nella mattinata di martedì 4 marzo 1913 si diffuse in tutto il Biellese la notizia della “vittoria” operaia. Nel pomeriggio in Biella si svolse un corteo per la via maestra della città, mentre sul “Corriere Biellese” si poteva leggere un titolo a piena pagina della clamorosa vittoria operaia, commentando il nuovo articolo 2 !
Veniva inoltre pubblicato un ironico necrologio dal seguente testo : “Il giorno 3 marzo 1913 decedeva a Biella, dopo otto mesi di straziante agonia, nel palazzo della sottoprefettura, confortala e assistita dalla Confederazione Industriali di Torino, la signora LIBERTA’ INDIVIDUALE. Ne danno il triste annuncio… ecc. ecc.” insomma, dopo la conferma di un sopruso, si aveva anche la sfrontatezza del dileggio in pubblico !

Questo fatto irritò non poco la Confederazione Industriale, tanto che la Lega Biellese Arti Edili, che ancora non aveva firmato il contratto (pur avendo già delegato suoi rappresentanti a farlo), fecero sapere che non lo avrebbero più sottoscritto !
Chiaramente eravamo ormai ad un grottesco ed inutile puntare i piedi. Ci furono infatti ancora alcuni tentativi di apportare modifiche al “benedetto” articolo 2, ma di fatto non cambiò nulla, sen non la marginale cavillosa precisazione : “Il verbo servirsi, equivale ad assumere in servizio (…)” ed altre banalità simili.
In sostanza, gli industriali “ribelli” non avevano fatto altre che fornire ulteriori occasioni ai giornali locali - quasi tutti di parte e politicamente schierati - per essere ancora pesantemente criticati. Si parlò di “sleale ritirata degli industriali”. L’accordo definitivo fu quindi siglato il 15 aprile 1913 dopo ben 274 giorni consecutivi di sciopero. Come abbiamo anticipato nella premessa, il più lungo d’Italia da sempre, supportato dalle numerose testate giornalistiche - non solo locali - al “servizio” della Confederazione del Lavoro e del Partito Socialista.
Corriere Biellese”, “Avanti”, “l’Edilizia”, “Il Nuovo Ideale” di Varese, “Il Lavoratore” di Novara, “L’Aurora” di Pallanza, “l’Operario” di Berna in Svizzera, e quotidiani nazionali di grossa tiratura insospettabilmente schierati pure loro, come “La Stampa” e la “Gazzetta del Popolo” di Torino e il “Secolo” di Milano. La controparte, che poteva contare sull’appoggio esiguo de “Il Biellese” Cattolico e del Liberale “Gazzetta di Biella”, difesero il principio del diritto al lavoro ed al libero arbitrio dei lavoratori contro le intimidazioni ed i blocchi, anche con l’ausilio della forza pubblica.
Chiaramente furono oscurati e strumentalizzati, così come succede oggi quando si levano voci “fuori dal coro”.

Terminata questa fase non certo esaltante, si provvide ad iniziarne un’altra ancora meno dignitosa, fatta di vendette, e di rivalse, …quando non di violenze.
Il sindacato infatti mise subitamente in opera un ferreo controllo alle richieste di adesione alla Lega, da parte di tutti quei lavoratori valligiani che non avevano partecipato all’agitazione o che erano stati espulsi dalla Lega stessa per atteggiamenti divergenti dal pensiero che si pretendeva unico e dovuto. Ad alcuni di questi, vennero comminate ammende di 100 lire anche, per vedere accolta la sola domanda ed essere riammessi.
Del resto, come sentenziava il draconiano articolo 2, …o si era iscritti, o non si lavorava !
Per altri lavoratori, davanti all’ostracismo più vigliacco e vergognoso, commesso sulla pelle di chi chiedeva solo di poter lavorare, non rimase altro da fare - per poter mantenere la famiglia - che prendere la via dell’esilio verso altri lidi.
Obiettivamente, c’è da chiedersi seriamente se questo “articolo 2” non sia stato per la nostra valle, l’inizio del declino e di quella agonia nella quale ancora oggi ci dibattiamo.

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